Commercio del Vino Italiano in Brasile, 2 punti da considerare


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Vino di Montecarlo-Lucca
Sulle colline di Montecarlo (Lucca), alla Fattoria Buonamico

post_ITNel 2010 ho avuto il mio primo approccio con il mercato del vino. Ero in vacanza nella mia amata Lucca e mi venne naturale pensare di importare vino toscano in Brasile. Trovai subito diversi produttori locali interessati, nella zona di Montecarlo, che mi fornirono campionario da far assaggiare oltreoceano.

Una volta tornato in Brasile scoprì che c’era mercato, sopratutto nel sud e sud-est del Brasile. Ma gli addetti ai lavori mi allertarano su 2  punti, per chi volesse entrare nel mercato del gigante latino-americano:

1) Difficoltà nel trovare un importatore brasiliano.

Divido questo punto in due:

A)Molte aziende italiane non riescono ad entrare perché generalmente si rivolgono sempre agli stessi grandi importatori / distributori, i quali, generalmente, hanno già da anni dei fornitori di vino italiano ed anche di qualità e non sono interessati a nuovi produttori. Quindi la scelta strategica è l’individuazione di canali d’importazione nuovi” – scrive Danilo su Linkedin.
Confermo quanto riportato, con la mia esperienza diretta alle risposte ottenute da un grosso importatore del sud del Brasile.

B) Difficile trovare un interlocutore serio.
Sia storicamente che oggi, il Brasile soffre di questa etichetta. É famosa la frase “Il Brasile non è un paese serio” attribuita a De Gaulle negli anni ’60.
Recentemente, partecipai ad un incontro di marketing, qui in Brasile, dove fu distaccato il concetto che essere seri in Brasile è oggi una grande “ousadia” , cioè un’audacia, una scelta di coraggio.
Sia questo vero o sia un preconcetto,  è una mina che aleggia alla fiducia necessaria in un dialogo di business.
L’indice di corruzione mondiale lascia sperare relativamente meglio (e poco vantarmi come italiano): nel 2011 il Brasile (73° posizione mondiale) era un paese più corrotto dell’Italia; nel 2012 il Brasile é arrivato alla 69 esima posizione,  mentre, aimè, la mia Italia va al 72° posto, lontano dai francesi al 22° posto, tedeschi al 13°.

Con questi principi, consiglio di partecipare ad eventi come Expovinis Brasil, ma rivolgersi sopratutto a piccoli importatori ed andare muniti di una ottima “lanterna”, come faceva chi di botti se ne intendeva, il Diogene che cercava l’uomo nell’antica Grecia…

2) Differenziarsi dai concorrenti.

Qui arrivo al punto cruciale del mio post. Aspetto cardine dell’entrare a commerciare vino in Brasile è il marketing. Ne concordano anche alla famosa scuola di marketing di São Paulo, la ESPM, offrendo un corso specifico.

Notare nella foto che il vino sembra molto freddo (“blasfemia”... per un buon vino rosso italiano... e con dietro un libro, che rimanda a storie e racconti)
Questo vino cileno è presentato ghiacciato (“blasfemia”… per un buon vino rosso italiano), con dietro un libro, che rimanda a storie e racconti (storytelling).

Nella mia tesi, parto dal presupposto che il vino è un prodotto di consumo fortemente legato alla sensibilità, ai valori e alla cultura: valori intangibili. Specialmente in Brasile, quinto consumatore mondiale di vino già dal 2009 (con + 58% dell’inport di vino italiano nel 2011 ), la crescente classe media è da considerare il segmento più interessante per questo business. Credo quindi sia assolutamente importante, per un etichetta vinicola italiana, distinguersi in questo intangibile, l’immaginario.

Siamo di fronte ad una segmentazione di pubblico che non ha un gusto affinato nel consumare bevande. Faccio un parallelismo con la stra-consumata birra. Quello che la pubblicità distacca di più di una birra, non è il gusto, ma principalmente che sia “geladissima”, cioè ghiacciatissima. Che caratterisitica della marca è questa? Più del frigorifero dove era custodita la bevanda…

Il vino importato più consumato in Brasile è il cileno Casillero del Diablo (in foto). Si trova anche in Italia, l’ho visto sugli scaffali dell’Esselunga. Il vino è buono e si distacca anche per il turbinio di storie che accompagnano questa etichetta. I consumatori brasiliani di  Casillero del Diablo parlano di leggende, del diavolo che proteggeva le botti di questo prezioso vino cileno, etc… Riassumento in una sola parola di marketing: storytelling.

Il raccontare storie, lo storytelling,  è uno dei migliori strumenti per entrare nell’onda del passaparola. Lo penso e lo ribadiscono imminenti libri di business americani, come Made to stick. Credo che per le caratteristiche del popolo brasiliano questo strumento sia ancora più efficace che in Europa.

Un produttore di vino Italiano deve seriamente cercarsi un responsabile marketing di zona, sia per il trade marketing con i distributori, sia per gestire l’immagine pubblica, lo storytelling, che alimenti l’aurea intangibile, dei valori, attorno alla propria etichetta in Brasile. Poi lavorare al mantenimento del cliente, con l’indiscutibile qualità del suo prodotto.

Altrimenti con il brasiliano medio, si rischia di non essere distinto da un qualsiasi Lambrusco da 14 R$, sul lungo scaffale di un supermercato brasiliano. Così è anche per l’olio extra vergine di Oliva europeo: sia portoghese, spagnolo, greco o italiano… è quasi lo stesso per il consumatore medio. Ha l’aurea di essere europeo, quindi è buono: basta.

Una vigna in Brasile
Una vigna nel sud del Brasile

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